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Vita di Masaccio - Biografia e opere
Nella storia della
pittura l’apparizione brusca, breve e violenta di Masaccio
sembra appartenere al regno dell’impossibile. Questo pittore,
morto quando non aveva ancora compiuti ventisette anni,
sconvolse in poco tempo tutto un mondo per crearne un altro;
quello che chiamiamo
Rinascimento
trova in lui l’espressione pittorica della sua scoperta: l’uomo
— questa terra sconosciuta tutta da scoprire. Come
un’esplosione, Masaccio muta il corso della storia dell’arte e
gli stessi suoi contemporanei furono coscienti della rivoluzione
da lui operata. |
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Lunga
è la lista degli artisti che andarono a studiare nella sua opera il nuovo senso
"rinascimentale". Fra Angelico fu tra i primi, e poi, attraverso
Leonardo,
Michelangelo e
Raffaello, il
pellegrinaggio proseguì fino al XVI secolo. I moderni considerano l’arte di
Masaccio come un messaggio misterioso e grandioso di un’anima che seppe rendere
tutta l’intensità della passione umana. Già un tempo si riconobbe la potenza di
Masaccio il quale, si diceva, fu il primo a creare degli uomini i cui piedi
toccassero veramente terra. E ancora oggi si resta storditi dal vigore della visione dell’artista. E un mondo dal quale è bandito qualsiasi effetto
decorativo. I personaggi di Masaccio sono dei contadini, il pittore non cerca
infatti la bellezza decorativa dei lineamenti, ma l’umanità nella sua
essenzialità.
Questo
innovatore nacque a San Giovanni Valdarno, vicino a
Firenze, il 21 dicembre del 1401 da ser Giovanni di Mone
Cassai; il suo vero nome era Tommaso. "Masaccio", il nome con cui è
stato sempre chiamato, è quindi un peggiorativo, ma il
Vasari, che ci dà
tutti questi particolari, dice anche che il soprannome non voleva significare
che egli fosse cattivo, essendo anzi sempre stato persona di grande bontà, ma gli
venne dato a causa della sua distrazione "come quello che, avendo fisso tutto
l'animo e la volontà alle cose dell’arte sola, si curava poco di sé e manco di
altrui". E, aggiunge, che "nulla gli importava delle cose esteriori",
abbigliamento compreso, e che dimenticava di chiedere il denaro che gli era
dovuto dopo una commissione, fino al momento in cui non si fosse trovato nella assoluta necessità di
farlo. I documenti ci dicono che, benché avesse
numerose ordinazioni, il pittore era sempre pieno di debiti, soprattutto nei confronti
degli aiuti della sua bottega.
Non conosciamo nulla della prima educazione del pittore; molto giovane, il 7
gennaio 1422, venne immatricolato a Firenze nella Corporazione dei medici e
speziali. Il quadro che rappresenta Sant’Anna, la Madonna, il Bambino e gli
angeli — attualmente agli
Uffizi — può essere
datato tra il 1422 e il 1423; risponde ancora al gusto tradizionale ed è stato
stabilito che vi abbia collaborato Masolino da Panicale, il cui nome si trova sovente
unito a quello di Masaccio, anche se i due temperamenti, in realtà, non si
somigliavano. Certo è che i due artisti parteciparono insieme ad alcuni lavori e
Masolino, anche se più anziano, subì l’influenza di Masaccio.
Una
delle pitture su tavola più importanti di Masaccio è il polittico per la
Chiesa di Santa Maria del Carmine a
Pisa dipinto nel 1426 .
Con il passar del tempo è stato smembrato, alcune parti sono andate distrutte,
altre sono disperse in vari musei, la Madonna in trono col Bambino alla
National Gallery di Londra,
San Paolo al Museo Nazionale di Pisa, alla
Gemäldegalerie di
Berlino, Sant'Agostino, San Girolamo, Santo
carmelitano barbuto, Santo carmelitano glabro, Martirio di san
Giovanni Battista, Crocifissione di san Pietro, Storie di san
Giuliano e san Nicola, e la Crocifissione oggi al
Museo di Capodimonte
a
Napoli. Le dimensioni
raccolte del Cristo, l’allungamento della Madonna, lo slancio disperato della
Maddalena che trova la sua risonanza e la sua stabilità nell’angolo formato
dalle braccia del Cristo, tutte queste forme che interrompono la statica della
composizione, parlano un linguaggio con cui il dramma si esprime nel suo aspetto
plastico, violento e contenuto ad un tempo. Il colore può ancora ricordare
quello del tardo gotico, ma la forma nuova, pura e senza ornamento come la
definiva uno scrittore del XV secolo, si stacca impetuosamente sul fondo oro del
dipinto (probabilmente richiesto dal committente) grazie al gioco delle luci che
non solo avvolge le figure, ma le rende vicine o le allontana.
Quest'ultima è forse l’opera più drammatica di Masaccio: negli Affreschi
della Cappella Brancacci, nella
Chiesa di Santa Maria del Carmine a
Firenze, che sono il suo capolavoro, l’artista renderà più monumentale, più
interiormente sofferto questo immenso fervore che sembra emanare da chi ha
conosciuto quella che è l’essenza del destino dell’uomo.
Felice
Brancacci, mercante di sete, era stato incaricato di diverse missioni
diplomatiche in Oriente dalla repubblica di Firenze. Si suppone che nel 1423, al
momento del ritorno da un viaggio in Egitto, che non era stato senza pericoli,
incaricasse Masolino, per compiere un voto, della decorazione della
cappella dedicata alla Madonna del Popolo nella Chiesa del Carmine a
Firenze. Come Masaccio, è probabile che anche Masolino avesse dei rapporti
lavorativi con
il convento; lo troviamo infatti menzionato anteriormente come esecutore di
lavori nella chiesa; Masaccio a sua volta, come scrive
Vasari, vi avrebbe
eseguito anche lui dei lavori prima della commissione di Felice Brancacci.
La decorazione si svolge da destra a sinistra su due piani, ma l’esecuzione non
fu subordinata all'ordine delle storie. I due pittori si divisero il compito
secondo le loro preferenze senza curarsi di una continuità. Masolino vi lavorò
nel 1425 prima del suo viaggio in Ungheria con Pippo Spano, celebre capitano
di ventura e
uomo di fiducia del re Sigismondo, e riprese la decorazione al suo ritorno nel
1427, poi partì per Roma. Masaccio restò solo fino a quando, chiamato anche lui a
Roma, abbandonò incompiuta l’opera che fu terminata quasi mezzo secolo dopo da
Filippino Lippi. La sfortuna volle che, giunto a Roma in data non
anteriore al 1428, morì probabilmente nello stesso anno. Oggi restano alcuni
suoi capolavori in alcuni dei più importanti musei dei mondo, come abbiamo
visto, ma il suo capolavoro più grande resta il lavoro effettuato nella Cappella
Brancacci, che se siete a Firenze dovete vedere almeno una volta.
Si ha quasi l’impressione che un destino contrario abbia voluto
accanirsi contro questa opera; la diversità degli artisti che
lavorarono alla decorazione della cappella complica di per sé il
compito degli storici chiamati a determinare quale sia stato
l’apporto di ciascun pittore; il salnitro, inoltre, ha
deteriorato in parte degli affreschi, i colori dei quali furono
probabilmente alterati anche da un incendio che seguì. A tutto
questo bisogna aggiungere le sovrapitture dei vari restauri. |
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Ma l’opera di Masaccio è così grande, che a dispetto di ogni ostacolo, ci dà
ancora l'emozione e la conoscenza completa del messaggio che reca con sé; la sua
potenza plastica e costruttiva la rende nettamente identificabile.
La fortuna critica
L’esistenza di questo grandissimo e giovane maestro passò senza scalpore, e solo
alla fine appare gravata da un’ombra, che il Vasari nelle sue Vite,
subito attenua: "... o fusse la invidia: o fusse pure che le cose buone
comunemente non durano molto, è si morì nel bel fiorire". La fama di
Masaccio è tutta postuma. Il senso della sua grandezza incomincia l’indomani
della sua morte con le parole, che il Vasari riporta, del Brunelleschi: "Noi
abbiamo fatto una gran perdita".
Giorgio Vasari stese l’elenco di quelli che, dopo la morte di Masaccio,
si recarono a studiare le pareti della Cappella Brancacci. Nell’elenco si
distinguono assai bene le ondate successive di ammiratori: i quasi coetanei,
seguiti dalla prima e dalla seconda generazione del secondo Quattrocento, con
rispettivamente alla testa
Leonardo
e Michelangelo, poi quella dei primi cinquecentisti, con alla testa
Raffaello, in ultimo i
manieristi. Si potrebbe fare una controlista degli esclusi, ma ci si accorge
trattarsi di non fiorentini (Domenico Veneziano,
Piero della Francesca),
o di scultori (Donatello,
Pollaiolo). È probabile che a predicare l'opera e l'arte di Masaccio sia stato
più d’ogni altro Leonardo, che in effetti fu il primo a realizzare nella sua
opera integralmente lo stile pittorico di colui che, fece dire al pittore
manierista di
Milano Giovanni Paolo
Lomazzo, "solamente allumava ed ombrava le figure senza contorni".
Questo stile, oppresso dall’ossessione compositiva dei "toscani", germinerà per
influsso leonardesco nella pittura veneziana del primo Cinquecento. Dopo di
allora in Toscana è piuttosto il fascino della figura del pittore a imporsi
durevolmente come ideale di vita.
La letteratura artistica su Masaccio comincia in modo illustre con Leon
Battista Alberti che lo rammenta, unico pittore assieme ai grandi scultori
fiorentini, nella dedica alla stesura in volgare del De pittura (1436),
rivolta, con devozione di allievo, a Filippo Brunelleschi. Poi Antonio di
Pietro Averlino, detto il Filarete nel Trattato di architettura
(1468). Poi l'umanista Cristoforo Landino nella prefazione al Commento
della Commedia di Dante (1481) trova per lui la bella formula "puro sanza
ornato", desunta dalla definizione data da Vitruvio della colonna
dorica "sine ornatu, nudam speciem" (Vitruvio, IV, 7).
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