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Storia del
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Museo Louvre
Storia del
Louvre
Musei a Parigi
Come abbiamo fatto in molti articoli precedenti, sperando che questa formula sia
efficace per chi legge, scegliamo un’opera (in questo caso una serie) per
rappresentare degnamente il
bellissimo museo d’Orsay: la già citata "
Cattedrale
di Rouen" di Claude Monet.
Nell'illustrazione sono rappresentate nell'ordine: la cattedrale di Rouen, portale, tempo grigio, 1894, olio su tela, 100x65 cm, Musee d'Orsay, Paris;
La cattedrale di Rouen, portale e torre San Romano, pieno
sole, armonia blu e oro, 1894, olio su tela, 107x73 cm, Musee d'Orsay, Paris; La
cattedrale di Rouen, portale, sole mattutino, 1894, olio su tela, 106x73 cm,
Musee d'Orsay, Paris.
Ecco riprodotti tre esempi: uno di tempo grigio, uno di pieno sole con luccichii
oro e azzurro, uno di sole mattutino, con una punta di nebbia.
Perché ho scelto
proprio quest’opera?
È difficile, in effetti, selezionarne una tra quelle degli
impressionisti, perché sono tutte così belle, preziose, indimenticabili da
lasciare a bocca aperta chiunque, intenditore o profano che sia; tuttavia, se
proprio si deve scegliere un’opera in quanto rappresentativa di un discorso più
generale, questa è davvero perfetta. Innanzitutto perché Monet è il più
impressionista degli impressionisti: la sua tela "Impression: soleil levant"
diede il nome al movimento, senza contare che lui come nessun altro rimase
fedele alla poetica iniziale del gruppo, quella dell’attimo, della pittura en
plein air che riuscisse a catturare l’impressione, la luce, l’idea, la
suggestione del momento, meteorologico, come emotivo\percettivo.
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Inoltre, nella pittura impressionista del più impressionista degli
impressionisti, la serie della "
Cattedrale di Rouen" è quella in cui è evidente
più che mai la vera ossessione che Monet sviluppò per l’osservazione del dato
reale nei vari momenti della giornata.
Per avere un punto di vista privilegiato
affittò una camera d’albergo di fronte alla cattedrale, dal lato ovest, sopra un
negozio; passò mesi ad osservare e dipingere; il risultato furono tanti dipinti
dello stesso soggetto, ma con diversi colori e sfumature, a seconda dell’ora del
giorno e del tempo meteorologico: mattina presto, mezzogiorno, tramonto oppure
sole, pioggia, nebbia, neve, ecc.
Monet rischiò di impazzire nel tentativo vano
di riprodurre a distanza di giorni la stessa luce, la stessa impressione che
aveva avuto giorni prima.
Questo è praticamente impossibile, perché qualcosa
cambia sempre. Scriveva Monet al mercante ed amico Paul Durand Rueil nel marzo
del 1894:
"Lavoro moltissimo, ma non posso pensare di fare altro che la cattedrale. È un
lavoro enorme". E ancora:
"Il mio soggiorno qui va avanti. Ciò non vuol dire che sono prossimo a terminare
le mie cattedrali. […] Quanto più vedo tanto più vado male nel rendere ciò che
sento; e mi dico che chi dice di avere finito una tela è un tremendo orgoglioso.
[…] Lavoro a forza senza avanzare, cercando, brancolando, senza arrivare a un
granché, ma al punto di esserne stremato".
Una vera ossessione, una divina mania. In effetti questa serie di opere
apparentemente simili, le cui uniche differenze stanno nelle luci e nei colori,
sono emblematiche dello stile di un pittore che ha fatto della luce e del
colore, dell’impressione visiva, del dato ottico il centro della sua poetica.
Duchamp parlando di lui coniò il termine "
pittura retinica", ossia ottica,
puramente visiva.
Cézanne
diceva di Monet: "
Non è che un occhio, ma buon Dio!
Che occhio!".
In un caso come questo il museo non poteva che decidere di esporre le tele
vicine, sottolineandone la sequenzialità ed il legame inscindibile, legame di
cui Monet rischiò di finire schiavo.
Un pittore solo con se stesso, nella sfida
più grande che l’arte si sia mai ripromessa: rubare alla natura il segreto della
sua mutabilità, catturandone l’anima in ogni istante, fissandone le peculiarità,
svelandone i misteri… Monet fece lo stesso tentativo con la serie dei "
Pioppi",
dei "
Covoni" e delle "
Ninfee" del suo giardino a Giverny, ora musealizzato e
visitabile.
A Rouen lavorò dal ‘92 al ‘94 circa, concludendo le ultime versioni
a memoria, da casa. Venti di queste tele con la cattedrale furono esposte da Durand Ruel nel 1895. Ebbero un gran successo.
L’amico di Monet Clemenceau le
lodò per il loro "
sinfonico splendore".
Chiaramente, il soggetto non ha
importanza in queste tele: la bellissima cattedrale gotica di Rouen, col suo
portale strombato ed il grande rosone, coi pinnacoli svettanti e le mosse sculturine interessa al pittore solo nella misura in cui cavità e sporgenze
catturano e rimandano la luce in modi diversi.
Sicuramente l’aver completato
molte delle tele in studio, lontano dal soggetto, ha tolto verosimiglianza
all’opera, ma le ha anche aggiunto una preziosa, ineffabile, eterna, universale
sfumatura di poesia…
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Articolo di Laura Panarese
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